L'annullamento in autotutela non legittima la compensazione delle spese
L’annullamento in autotutela da parte del Fisco non giustifica la compensazione delle spese relative al contenzioso che il contribuente è stato costretto ad incardinare: è questo, in sintesi, il principio di diritto sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18459/2023, giunta a risoluzione di una lite insorta tra un cittadino e l’Agenzia delle Entrate.
La pronuncia trae spunto dal seguente caso: un contribuente proponeva ricorso davanti alla CGT di primo grado di Catanzaro avverso una cartella esattoriale emessa dall’Agenzia delle Entrate per il recupero dell’imposta di registro relativa ad una sentenza, sostenendo che quest’ultima, per la quale era stato chiesto il pagamento dell’imposta di registro, era riferibile ad altra persona. L’adita Corte di Giustizia Tributaria di primo grado dichiarava “non luogo a deliberare, essendo cessata la materia del contendere” e compensava tra le parti le spese del giudizio.
Il ricorrente decideva pertanto di impugnare la sentenza, a lui favorevole, per la sola parte riferita alla soccombenza. Sull’impugnazione, la CGT di II grado della Calabria rigettava il gravame, evidenziando che, a fronte dell’errore commesso dall’Agenzia nell’individuazione del soggetto obbligato, riparato in sede di autotutela, sì da determinare la cessazione della materia del contendere, i primi Giudici avevano correttamente considerato la condotta tenuta dal ricorrente, che aveva intrapreso una controversia davanti all’autorità giudiziaria nella consapevolezza della sua superfluità, essendo a conoscenza dell’intervenuto sgravio prima della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio.
Il contribuente decide così di presentare ricorso per la cassazione della sentenza resa dalla Commissione regionale. Ed in effetti, sull’argomento, la Corte di Cassazione ha deciso di aderire alla tesi sostenuta dal ricorrente. In particolare, come è dato leggere nel dispositivo, “nel processo tributario, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in sede di autotutela non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, solo qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione (come nel caso di specie, in cui si è verificato un vero e proprio errore di persona), stante, invece, l’obiettiva complessità della materia chiarita da apposita norma interpretativa, costituendo in tal caso detto annullamento un comportamento processuale conforme al principio di lealtà, ai sensi dell’art. 88 cod. proc. civ., che può essere premiato con la compensazione delle spese (Sez. 5, Ordinanza n. 22231 del 26/10/2011)”.
Pertanto, prosegue la Corte, “in tema di contenzioso tributario, alla cessazione della materia del contendere, a seguito di annullamento dell’atto impugnato, in sede di autotutela, dopo la definizione del giudizio di merito, non può meccanicamente correlarsi la compensazione delle spese, non essendo improntata una siffatta soluzione esegetica, che riserva alla parte pubblica un trattamento privilegiato privo di obbiettiva giustificazione, ad un’ottica rispettosa dei principi costituzionali di ragionevolezza, di parità delle parti e del “giusto processo”. In quest’ottica, in una prospettiva di equiparazione del processo tributario a quello civile ordinario, deve farsi ricorso alla regola, propria del secondo, della “soccombenza virtuale”, la cui applicazione nel primo è stata in passato esclusa proprio per essere stata ritenuta, in modo non convincente, di ostacolo all’esercizio dell’autotutela, cui possa seguire la condanna dell’amministrazione alle spese (Sez. 5, Sentenza n. 1230 del 19/01/2007)”.
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