La coltivazione di alcune piantine di cannabis non costituisce un fatto penalmente rilevante: è giunta a questa conclusione la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, la quale si è pronunciata in senso favorevole all’imputato con la recente sentenza n. 23520 del 30 gennaio 2023 (leggi qui).
La pronuncia trae origine dalla vicende di un imputato, il quale veniva assolto dal reato previsto nel caso di specie in quanto – come ha statuito la Suprema Corte – non punibile per “particolare tenuità del fatto“, in considerazione della circostanza secondo cui la coltivazione era limitata ad un numero estremamente esiguo di piantine di canapa indiana (cinque, per la precisione).
A seguito dell’impugnazione in Corte di Cassazione da parte del Procuratore Generale – il quale contestava all’imputato l’organizzazione di una attività professionale, con un conseguente introito economico – gli Ermellini hanno invece richiamato il proprio orientamento, già enunciato con la sentenza n. 12348/2019 resa a Sezioni Unite, con la quale i Giudici hanno affermato che “non integrano il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
Ed ancora, andando più nel dettaglio, la Cassazione ha precisato che la condotta dell’imputato si colloca “al limite della stessa tipicità presa in considerazione della disposizione incriminatrice: per il numero irrisorio di piante, per il quantitativo complessivo di dosi ricavabili, per le modalità rudimentali della coltivazione, per l’assenza di precedenti penali e di altri elementi da cui desumere la destinazione allo spaccio o l’inserimento del soggetto nel mercato degli stupefacenti”.
In altri termini, non è possibile stabilire a priori la rilevanza penale di ciascuna singola condotta, ma occorre effettuare una valutazione caso per caso anche alla luce di determinare se, nella singola fattispecie, l’attività posta in essere dal soggetto è tale da configurare, al di là di ogni ragionevole dubbio, una destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente ricavata.